Ricerche sullo stato di saluti dei macchinisti

Premessa
Questo studio riguarda 655 test distribuiti nel 1999 ai macchinisti di tutte le regioni linguistiche della Svizzera. Ogni test si articolava intorno a tre aspetti essenziali: una indagine a livello fisico (motorio), una indagine a livello di funzionalità organica (vegetativo) ed una indagine a livello di disagio interiore (psichico). Nel giovane tende ad apparire (in assenza di altri fattori), innanzitutto il classico dolore muscolare dovuto alla somatizzazione (soma=corpo) di un disagio, col passare degli anni lo stress tende a raggiungere la funzionalità dello stomaco, del cuore, del fegato ed, infine, diviene disagio a livello interiore con la conseguenza deteriorizzazione dei rapporti anche a livello sociale. Quindi il collegamento tra i tre aspetti va da fuori a dentro, dal corpo alla psiche.

Introduzione.
Nel 1997 ho cominciato a dare i corsi di comunicazione per i macchinisti. Da allora l’organizzazione del lavoro è cambiata radicalmente: turni con tempi ottimizzati, riposi che tengono conto come unico criterio del numero di ore (e non di quali ore), macchinisti che lavorano principalmente di giorno e macchinisti che lavorano soprattutto di notte (P e G). Di fronte alle esigenze economiche e ai successi di questa politica, il disagio del macchinista rimaneva inascoltato. Ma il disagio è andato via via aumentando trasformandosi nel sintomo di una malattia ben più grave. Mi sono trovato di fronte a questa domanda: - Se i ritmi del lavoro vengono sempre più accelerati, se la concentrazione richiesta durante quei tempi è sempre maggiore, quando verrà raggiunto un tetto massimo oltre il quale non si potrà andare?- Per capire il concetto di “disturbo del ritmo” bisogna considerare che il vivente è tale (e quindi vivo!) fin tanto che i suoi bioritmi si svolgono secondo un certo ordine. La vita ed il lavoro impongono le loro esigenze e molte di queste incidono sui bioritmi: le variazioni che ne derivano hanno bisogno di un tempo di recupero. Il disturbo interviene quando la variazione o le variazioni sono eccessive per intensità o per durata e non c’è la possibilità di un recupero. Inoltre ogni soggetto può sopportare variazioni differenti per numero, intensità e durata, a seconda della propria struttura psico-fisica, ma esiste un punto limite. Quando le modifiche vengono mantenute ai massimi livelli per un tempo troppo lungo e non ci sono sufficienti possibilità di recupero, inizia la malattia.

Dapprima l’organismo tenta di evitare l’emergere del disagio creando una contrazione muscolare. Non potendo dire ciò che si vorrebbe si crea una tensione del muscolo massetere, elevatore della mandibola, che impedisce di "aprire la bocca". La prima fase è dunque rappresentata da un disagio motorio.

In un secondo momento il disturbo si immerge più profondamente nell’organismo, la zona colpita a livello muscolare tende a manifestare problemi neuro-vegetativi: insorgono mal di testa e di stomaco, difficoltà nel dormire, gastriti, tachicardie, ipertensione arteriosa.

La terza fase è rappresentata da un incidere nella vita psichica con l’insorgere di difficoltà nervose.

I macchinisti sono tuttavia quasi al 100% uomini e gli uomini rifiutano spesso di ammettere difficoltà psicologiche, così nei test considerati sembra piuttosto affermarsi una certa rassegnazione, un limitare delle aspettative. In un parola subentra tristezza a scapito della gioia di vivere. Soprattutto dopo i cinquantanni.

Il disagio del macchinista non è solo un “problema personale”, ha dei costi: costi umani, costi per cure mediche, per le assenze dal lavoro, per i possibili incidenti. I risultati economici andrebbero dunque calcolati non solo sul fatturato, ma anche su tutto il resto.

Ed infine si dovrebbe quantificare un indice relativo al piacere di lavorare e di vivere.
Se il lavoro dovrebbe servire a creare condizioni di vita sempre migliori, come è possibile che chi lo svolge venga indotto ad essere sempre più triste e rassegnato?

effetti sulle condizioni socio-lavorative
Da un indagine svolta tra i Macchinisti delle Ferrovie dello Stato
Intervento del Professor Luigi Ferini Strambi

Milano, 15 gennaio 2000

Premessa
Il presente lavoro è tratto da una parte del convegno tenuto a Milano il 15 gennaio 2000, a conclusione di un indagine condotta in collaborazione tra la rivista “Ancora in Marcia” e i Centro Del Sonno dell’ospedale San Raffaele di Milano, diretto dal Professor Luigi Ferini Strambi.
Nel 1998 quando ormai la ristrutturazione aveva già fatto sentire i suoi effetti in termini di peggioramento dei carichi di lavoro (si pensi alle 10 ore in vigore col contratto all’epoca) e ai turni sempre più pesanti, nacque l’esigenza di studiare più a fondo i problemi connessi sia ai turni che al lavoro notturno, anche in relazione alla particolarità del lavoro del Macchinista.
Contattammo allora il Centro del Sonno, dopo aver letto su una rivista che i problemi legati alla carenza del sonno potevano essere trattati ed esaminati. Il sottoscritto venne invitato allora dal Professor Ferini, che mi chiese se ero stato mandato a tale proposito dall’azienda. Dopo la meraviglia iniziale capì il motivo di quella domanda. Difatti lo stesso professor Ferini, direttore del Centro dei Disturbi del Sonno del San Raffaele nonché presidente dell’AIMS (Associazione Italiana di Medicina del Sonno) mi spiegò che da anni cercava di convincere il Sanitario FS a collaborare sia per una mappatura per dei soggetti considerati a rischio per quanto riguarda i problemi del sonno (tale è considerato il Macchinista), sia per cercare di trovare eventuali azioni correttive. Lo stesso professor Ferini mi spiegò che tale possibilità gli era stata praticamente negata, in quanto ai dirigenti del Sanitario FS non interessavano assolutamente tali problematiche. Il muro di gomma era però in parte incrinato dal nostro interessamento. Con entusiasmo partì un’iniziativa, forse unica nel suo genere: una ricerca sullo stato di salute dei macchinisti, attraverso un questionario diffuso dalle pagine di “Ancora in Marcia”. Nell’arco di diversi mesi giunsero all’Istituto San Raffale circa 700 questionari, che contribuirono alla formazione di dati statistici, sia all’individuazione di specifiche problematiche, in parte già note in quanto evidenziate dalla letteratura medica sull’argomento. A conclusione del lavoro di ricerca si tenne a Milano il convegno “Il lavoro a Turni, effetti sulle condizioni socio-lavorative”. In questo opuscolo riportiamo i tratti salenti dell’intervento del professor Ferini. Non và dimenticato che all’iniziativa parteciparono di versi studiosi, nonché una folta delegazione di delegati e rappresentanti sindacali di tutte le OoSs. Altri studi sono stati fatti successivamente, tra cui menzioniamo lo studio fatto a Roma in collaborazione con l’università La Sapienza (Il ruolo dei turni di lavoro e la salute di chi opera), la ricerca commissionata dai macchinisti svizzeri del sindacato VSLF (Ricerche Sullo Stato di Salute dei Macchinisti Svizzeri) e lo studio del Professor Giovanni Costa dell’Università di Verona (Studio sulla valutazione della vigilanza /performance dei macchinisti ).

Nonostante questo molto rimane da fare, specie in virtù del peggioramento delle condizioni di lavoro, anche in relazione al decadimento generale delle condizioni economico normativo e salariale del mondo del lavoro in generale. La necessità non più rinviabile di prendere coscienza dei problemi, passa dalla conoscenza degli stessi. Strada, o meglio binario, che abbiamo senza paura già iniziato a percorrere.

8 giugno 2007

Carlo Fasani

la talpa